venerdì 30 marzo 2012

I dilemmi del dialogo II. Le Disquisizioni Teologiche

Ureach, uno dei protagonisti indiscussi de "Il Primo Re" (e certamente il personaggio più largamente detestato da parte dei revisori), si trova ad affrontare una profonda discussione teologica, che rischia di minare le sue adamantine convinzioni in fatto di fede.

Al di là del piacere che questa sua condizione di difficoltà potrà suscitare in coloro che non lo amano particolarmente, vi è l'immane sofferenza che provo io nel portare avanti il dialogo! Due individui assolutamente granitici e con una volontà ben oltre la norma umana si fronteggiano nell'argomento che più preme ad entrambi: la religione.

Dover passare a sostenere posizioni diametralmente opposte, argomentandole  secondo la logica stringente di due individui che danno alle loro convinzioni un valore maggiore di quello della vita stessa ... mi sembra d'essermi cacciato in un'impresa più grande di me.

Per un istante sono anche stato colto dalla tentazione di sfumare l'intero dibattito e lasciare all'immaginazione di ognuno la forma precisa di quanto si fossero detti, trovo però che l'importanza di questo evento sia per l'evoluzione dei personaggi che per quella della storia sia troppo elevata per lasciarlo nella penombra.

In due giorni ho portato a conclusione il primo round, due pagine di sofferenza che andranno sicuramente rivisitate e migliorate, ora però le posizioni dei due dovrebbero essere chiare e questo dovrebbe permettermi di lasciare in secondo piano i loro successivi dialoghi, limitando la citazione diretta alle affermazioni più rilevanti che l'uno o l'altro potrà arrivare a fare.

Ora una buona boccata d'aria, una merendina nutriente a base di banana, e si torna al lavoro.

Stay Tuned

giovedì 29 marzo 2012

Mendel insegna: quello della pace è un gene recessivo.

Questo pomeriggio avevo un appuntamento di lavoro ad Udine, quindi mi sono spupazzato il solito noiosissimo viaggio in auto. Stavo percorrendo la Trieste-Venezia quando ho notato un graffito:
Give peace a chance!
Non avendo niente di meglio da fare, mentre guizzavo tra i camion alla folle velocità di novantacinque chilometri all'ora (scritto per esteso pare di più, non trovate?), mi sono preso un po' di tempo per cogitare su quel messaggio ed ho elaborato una geniale teoria che spiega per quale motivo dare speranze alla pace non fa altro che allungarne l'agonia. La tapina non ha alcuna speranza di farcela
.
Non si tratta di una complessa serie di considerazioni filosofiche, di un fatto religioso o di tener in considerazione l'umana tentazione di migliorare la propria condizione a discapito di altri, è un semplice fatto di genetica!

Ai suoi tempi Gregor Mendel ha reso schiava una miriade di piante di pisello e le ha usate per gettare le basi della teoria genetica moderna introducendo il concetto di genotipo (corredo genetico) legato al fenotipo (forma espressa del materiale genetico); alla base di questi suoi studi vi è il concetto di "Gene Dominante" (ovvero quello che si manifesta più frequentemente) e "Gene Recessivo" (ovvero quello che ha meno probabilità di comparire).

I suoi studi hanno portato a questo semplicissimo schema:
Gene Dominante + Gene Dominante = Fenotipo Dominante (Puro)
Gene Dominante + Gene Recessivo = Fenotipo Dominante (Ibrido)
Gene Recessivo + Gene Dominante = Fenotipo Dominante (Ibrido)
Gene Recessivo + Gene Recessivo = Fenotipo Recessivo (Puro)

Da cui deriva che un Gene Recessivo ha una sola probabilità su quattro di riuscire a manifestarsi, il 25% contro il 75% di un Gene Dominante.

Se ci pensate anche Guerra e Pace seguono il medesimo schema:
Io voglio Guerra + Tu vuoi Guerra = Guerra
Io voglio Guerra + Tu vuoi Pace = Guerra
Io voglio Pace + Tu vuoi Guerra = Guerra
Io voglio Pace + Tu vuoi Pace = Pace

La Pace risulta essere un Gene Recessivo, la Guerra Dominante. L'unica speranza sta nei mutanti!

Stay Tuned

martedì 27 marzo 2012

Datemi un martello ...

Me ne andavo bel bello in quel di Trieste, la giornata era soleggiata, il clima mite, il lettore di Mp3 mi stava offrendo un sottofondo a base di "Ballo in fa diesis minore" [Angelo Branduardi] e "I wish I was a punk rock girl" [Sandi Thom] e me la spassavo con la mia attività urbana preferita: la (spasmodica) ricerca di parcheggio. Nella zona in cui mi avrebbe fatto realmente comodo parcheggiare vi sono pochissimi sistemi per poter trovare un posto.

Ereditarietà: Una diretta discendenza da una delle famiglie che, in tempi non sospetti, ha preso possesso dei parcheggi e che tutt'ora ne mantiene la potestà. Questo spiega il fatto che alcuni dei posti in questione siano occupati da veicoli visibilmente datati: Fiat Argentera, Lancia Appia, ed a guardar bene anche una due cavalli (intesa come biga romana).
Appartenenza a culti Esoterici: Divenire un Druido non garantisce la certezza di avere un posto, ma per lo meno da la possibilità di poter apprendere la ricetta della pozione magica di Panoramix.
Sacrificio di una Vergine: Che ovviamente va offerta ad uno degli attuali occupanti, nella speranza che valuti conveniente lo scambio e vi ceda il posto. Starà poi a voi sbrigare le vostre commissioni prima che lui sbrighi le sue e vi richieda indietro il parcheggio restituendovi la non-più-vergine.

A Trieste sono poco più che uno straniero importato, ho provato a diventare un Druido ma sono stato espulso per essere venuto meno durante la prova pratica di "Lettura delle interiora", per quanto riguarda le vergini, non è che sia contrario ai sacrifici umani, ma avevo bisogno di un parcheggio per tutta la giornata.

*** *** ***

Me ne andavo bel bello in quel di Trieste, ben incanalato nel traffico ed agevolato da un'insolita onda verde procedevo speditamente ... allontanandomi sempre più dalla mia meta, nella puerile speranza di trovare un luogo più propizio dove abbandonare l'auto.

La zona delle rive, in virtù di un enorme spazio adibito a parcheggio (a pagamento) non è propriamente il paradiso del parcheggiatore (che ritenga 1,50 euro l'ora un furto inammissibile), ma in genere sa essere generosa con chi la corteggi con la dovuta dedizione e le dimostri un amore sincero.

Con una canzone d'amore sulle labbra, ed un enorme mazzo di rose rosse che ingombrava il sedile del passeggero, mi sono immesso in un rettilineo a senso unico mantenendomi sul lato sinistro della strada. Come per magia sono apparsi tre posti vuoti, il primo strettino ma i due successivi abbastanza spaziosi per permettere la manovra anche ad un totale inetto (e, modestamente, riesco ad essere chirurgico in manovra).

Ero così emozionato da dar poco bado al fatto che si trovassero sul lato destro della strada, in fondo non avevo che da mettere la freccia ed iniziare a poggiare verso l'altro lato della strada. Unico dettaglio l'autobus che è comparso alle mie spalle, sparato come un colpo di schioppo: più un caccia in volo radente che un mezzo pubblico nell'esercizio delle sue funzioni.

Non volendo mettere alla prova gli areofreni dell'F-15 tagliandogli la strada e preferendo evitare di testare anche quelli del camion alle mie spalle, ho rapidamente elaborato un piano alternativo ed ho accelerato con l'intento di circumnavigare rapidamente l'isolato ed imboccare nuovamente il senso unico, questa volta stando sul suo lato destro.

Immagino che arrivati a questo punto vi sarete fatti un'idea del tema di questa storiella e starete sfregandovi le mani convinti di conoscerne già il seguito. "Fatto il giro dell'isolato i parcheggi erano già stati occupati. Sai che sorpresa ..." Sappiate che se l'avete pensato, avete ragione solamente per metà, le cose sono andate in modo leggermente differente.

Rientrato nel senso unico mi sono reso conto che il primo dei parcheggi larghi era stato occupato, un evento che non mi stupiva ne mi rabbuiava: a fare il giro dell'isolato ci avevo messo meno di un minuto, era credibile che non li ritrovassi tutti e tre liberi ed in fondo me ne bastava uno solamente. Inoltre si trattava di uno dei due parcheggi larghi, uno spazio in cui anche un incapace sarebbe riuscito ad entrare, nella peggiore delle ipotesi avrei potuto occupare il posto stretto, un numero ben minore di autisti avrebbe potuto competermelo, e non potevano essere passati tutti lungo quella strada in quei quaranta secondi di assenza ...

Ed infatti nel parcheggio stretto nessuno era riuscito ad entrare! Si era limitato a mettersi in seconda fila in corrispondenza dello spazio vuoto (troppo stretto perché riuscisse ad entrarci agevolmente) bloccandolo completamente e facendo si che nessun altro, anche se meno impedito nelle manovre, potesse fare ciò che lui non era stato in grado di compiere.

Mi domando cosa possa spingere un individuo a fare una cosa simile. Mi rifiuto di credere che possa aver pensato che fermarsi in seconda fila divenisse lecito, se lo si faceva in corrispondenza di un posto vuoto. Ma allora, perché coprire un parcheggio quando aveva decine e decine di metri di altre auto accanto a cui fermarsi? Come può un simile microcefalo aver ricevuto la patente?

Sbuffo, supero l'auto in sosta e riprendo la marcia puntando all'ultimo posto libero che appare dinnanzi a me, come l'autogrill giungeva a dar serenità a Cisco & Company nella loro "Rotta per Casa di Dio".

Per poter superare l'auto in sosta, ho dovuto ovviamente dare la precedenza a chi stava sulla corsia di sinistra; uno di loro, un bel SUV nero, poggia nuovamente a destra e mi si piazza davanti portando con se una nuvola di cattivi pensieri. La speranza che debba andare dritto all'incrocio mi crolla davanti come un castello di carte quando mette la freccia verso destra e punta diritto verso il MIO parcheggio.

Strepito, sbuffo e soffio, ma le mie capacità da lupo cattivo non sono sufficienti a far volar via l'auto come una casa di paglia o di legno; il SUV arriva al parcheggio e ... si ferma in seconda fila bloccandolo esattamente nello stesso modo dell'altro. Non si prende nemmeno la briga di fare una manovra che anche un paramecio ciliato potrebbe eseguire senza difficoltà, si limita a fermare l'auto ed a scendere.

"Dovrà solo andare al bancomat" penso "Ed ha lasciato l'auto così perché riparte subito" accosto e lo osservo aggirarsi sul marciapiedi. Uomo che dalla cinquantina sta galoppando alla sessantina, con pantaloni di pelle che farebbero sembrare ridicolo anche un trentenne senza il fisico adatto (no, non aveva il fisico adatto), con quel colorito malsano che solo l'uso eccessivo delle lampade abbronzanti riesce a dare, braccialetto d'oro da mezzo chilo al polso e akimbo di cellulari.

Sono scoraggiato come e depresso come un bambino olandese che non abbia una diga bucata da salvare infilandoci il dito, ma cerco di superare l'empasse, abbasso il finestrino e l'apostrofo.

"Mi scusi, può spostare un po' l'auto? Vorrei parcheggiare."
"Sto aspettando una telefonata"
No, tu aspetti una svendita di buon gusto e di senso del ridicolo.
"Capisco, ma basta qualche metro più avanti, così riesco ad entrare nel parcheggio""
"Parcheggiati pure dietro a me, non c'è problema"
Sorvolando su dove potrei consigliarti di infilarti il "tu", gentile concessione quella che mi fai dandomi il tuo benestare a parcheggiare in seconda fila.
Meglio proseguire, ancora una risposta simile e va a finire a mazzate. Risollevo il finestrino e riparto, con il cuore gonfio di tristezza e la consapevolezza che dovrò cercare posto al Passeggio Sant'Andrea. Cerco di farmi forza, in fondo se trovo un posto libero nel primo tratto di quell'angusto budello, non sarò così mostruosamente lontano dalla mia meta: venti, venticinque minuti al massimo (solo andata).

*** *** ***

Me ne andavo bel bello in quel di Trieste e sulla mia strada, a poche decine di metri dall'imbocco del Passaggio Sant'Andrea, mi sono trovato davanti a questo; una dimostrazione di come le diverse classi sociali possano cooperare senza alcun problema se si tratta di romper l'anima al prossimo! Il macchinone di un commendatore e la macchinina di un pinco pallino qualsiasi che, con mossa tattica ad imbuto occupavano quattro posti invece che due.
Ma si, tanto siamo in una zona della città praticamente disabitata, anche se prendiamo un po' di spazio in più non se ne accorgerà nessuno. Qui il parcheggio abbonda ... già, sono il buon senso ed il rispetto per il prossimo che deficitano.
Senza parole e sempre più cupo, proseguo per la mia strada e mi trovo dinnanzi a questo ...
Mi sono limitato ad una stretta di spalle, in fondo si trattava solo di un camper che bruciava quattro posti auto, una cosa abbastanza normale rispetto a quello che avevo visto negli ultimi minuti. Proseguendo dritto, qualche centinaio di metri più avanti ho trovato un posto dove parcheggiare e prima di approfittarne sono rimasto ad osservarlo con quel tenero ed ebete sorriso adorante che può avere un padre che osservi la figlia in abito da sposa prima di accompagnarla all'altare.

*** *** ***

Me ne andavo bel bello in quel di Trieste, con una mezz'ora almeno di passeggiata prima della mia meta, canticchiando "Datemi un martello" e pensando a quante applicazioni avrei potuto trovare per un simile miracolo della tecnica. Specchietti, finestrini, fanaleria, parabrezza, carrozzeria ...
Stay Tuned

giovedì 22 marzo 2012

Diversi revisori e revisori diversi

Ieri ho sparso un mucchio di parole, ho portato una copia del terzo capitolo (per lo meno della parte ultimate) al più solerte dei revisori, ed ho anche consegnato primo e secondo capitolo nelle mani di una nuova leva, perché potesse iniziare la lettura.

Come mi succede ogni volta che dò in mano d'altri qualche cosa che ho scritto, non ho potuto fare a meno di elucubrare riguardo alle loro possibili reazioni cercando di indovinare quali potranno essere i loro commenti. Una serie di pensieri che si è poi evoluta in una riflessione più generale riguardo ai revisori, al loro compito, alle loro caratteristiche generali ed alle peculiarità che li distinguono e per cui li ho scelti.

Da principio, quando mi sono riproposto di cercare delle persone a cui sottoporre la stesura del ro*cof*man*cof*zo, ho meditato a lungo sul genere di persone di cui potevo aver bisogno, di quali fossero le caratteristiche che avrei dovuto cercare per effettuare una selezione tra i miei amici/parenti/conoscenti. Le risposte che ho trovato mi sono sembrate abbastanza banali, ma non riuscendo ad arrivare a nulla di più illuminante, mi sono limitato ad esse: dovevano essere dei buoni lettori, avere una buona conoscenza dell'italiano, la capacità di organizzare ed esprimere una critica, la capacità di essere abbastanza obiettivi ed avere ovviamente il tempo e la voglia per leggere, correggere e preparare un breve commento per ogni capitolo.

Negli ultimi tre mesi ho avuto modo di testare questo sistema di revisione e devo dire che ha dato degli ottimi risultati: non solamente dandomi modo di correggere alcuni errori stilistici e di evitare quindi di ripeterli (o limitarne il numero) di capitolo in capitolo, ma anche per l'ispirazione che ricevo confrontandomi con i diversi punti di vista che mi vengono presentati. La semplice comodità di avere delle persone che leggono, correggono e commentano è mutata nella comodità di potersi confrontare con stili di critica completamente differente approfittando delle peculiarità di ognuno per migliorare, non solamente la scrittura in sè ma anche il mio rapporto con quello che scrivo.

Per poter spiegare in modo chiaro (e soprattutto breve) quello che intendo dire vi faccio alcuni esempi delle diverse categorie di revisori che ho avuto modo di individuare:

Il Tecnico: Lavora in modo estremamente preciso, correda il testo con le proprie note ed individua i problemi generali del testo suggerendo sistemi per renderlo maggiormente scorrevole.

Il Sentimentale: La sua revisione è meno tecnica e più emozionale, prova simpatie ed antipatie marcate nei confronti dei personaggi e permette di riconoscerne i punti di forza o le debolezze. Un personaggio che gli passi inosservato è probabilmente poco definito e manca della dovuta grinta.

L'Entusiasta: Minimizza gli errori a favore di ciò che è positivo. Le sue critiche sono sempre molto morbide ed esprime con verve e decisione quello che gli è piaciuto. E' una continua fonte di energia ed ottimismo.

L'Intransigente: Non te ne lascia passare una, marca ogni errore ed ogni mancanza analizzandone ed esprimendone i rischi e gli aspetti negativi. Aiuta a rimanere con i piedi per terra ed a non lasciarsi mai andare alla convinzione di saper scrivere.

Approfitto di questo post dedicato a loro per ringraziarli una volta ancora.

Stay Tuned

lunedì 19 marzo 2012

Cowbird - Lo strano caso della porta chiusa

Questa mattina, grazie ad un caso fortuito, me la sono spassata alquanto osservando degli ignari passanti.
La cosa mi ha divertito a sufficienza da ispirare una sua cronaca (romanzata ma fedele), di cui inserisco si seguito un breve estratto, e che potrete trovare completa su Cowbird.

[...]

La porta in questione (che potete ammirare grazie alla magnifica foto messa a disposizione da Mr. Smartphone) è dotata di tre caratteristiche peculiari:
1. La targhetta "SPINGERE" posta all'altezza della maniglia.
2. Una targetta rossa con la dicitura "APRIPORTA" che si trova all'altezza dello sguardo di un individuo di media altezza.
3. Un curioso pulsante rosso, appena sotto la targhetta di cui sopra.
[...]
I più non davano alcuna considerazione ad alcuno dei tre dettagli sovradescritti, con il risultato di spiaccicarsi come mosche contro il il vetro; la loro successiva reazione era in genere afferrare il maniglione e scuotere con forza (immagino per abbattere il nemico che aveva osato aggredirli così vilmente).
Una minoranza adocchiava il cartello "spingere" e si faceva precedere da una mano appoggiandola sulla maniglia, il gesto veniva ovviamente compiuto senza nemmeno rallentare il passo. Una spinta vigorosa e ... il braccio si piegava sotto la spinta del corpo portandoli a cozzare contro il vetro in modo non molto diverso dai precedenti.
Ricordo in particolare alcuni casi che mi sono costati diversi minuti di distrazione, tra il tempo speso ad osservarli e la successiva necessità di incanalare ogni mia energia nel tentativo di non ridere.
*** *** *** Il Rinunciatario *** *** ***
Arriva alla porta senza considerare alcun genere di targhetta e la trova inamovibile, si guarda quindi intorno con aria perplessa e sorride nel momento in cui localizza la targhetta "spingere".
Punta una mano e spinge ... nessun effetto.
Afferra la maniglia con entrambe le mani e spinge ... nessun effetto.
Sospira, si guarda intorno con aria imbarazzata e si stringe nelle spalle.
"Mi sono sbagliato" con il tono di chi si senta in colpa e voglia chiedere scusa.
Si gira e torna verso l'interno, rimuginando sul modo migliore per dire alla moglie che non potrà rientrare a casa, che sarà costretto a rimanere nella Casa di Ospitalità a tempo indeterminato, perchè una porta ha stabilito il suo fato e non gli permette più di uscire.
[...]

domenica 18 marzo 2012

Spazio, ultima frontiera ...

Questa mattina ho aggiornato il mio borsello tecnologico aggiungendo lo smartphone al netbook.

Per ora l'unico utilizzo dello smartphone è stato il sostituire la macchina fotografica digitale che, visti i costi ed il mio uso alquanto limitato, non ho intenzione di comperare; in futuro potrei addirittura decidermi ad istallarci qualche applicazione per l'uso dei social network (o per lo meno di Skype).

Per festeggiare il raggiungimento di questo nuovo confine tecnologico, ho aperto un account su Flickr e caricato un paio di immagini (le uniche decenti che sono riuscito ad ottenere). Curiosi?

Stay Tuned

venerdì 16 marzo 2012

Cowbird - Piccole storie di tutti i giorni.

Grazie ad una segnalazione di Claudia Vago ho recentemente scoperto l'esistenza di Cowbird, una comunità di scrittori che si basa sulla condivisione di storie (per la maggior parte autobiografiche), legate ad una specifica immagine o ad una traccia sonora.

A differenza della maggior parte dei Social Network di mia conoscenza, dove la maggior parte degli interventi si riduce alla segnalazione di materiale elaborato da terzi, Cowbird richiede una maggiore partecipazione da parte dei suoi utenti, che devono produrre del materiale originale (scritto, visivo o sonoro che sia) per poterlo condividere con gli altri.

Di dimensioni assai ridotte (nel momento in cui scrivo, a livello mondiale, ci sono 2018 iscritti) consente di curiosare tra gli eventi ed i pensieri di persone nelle più disparate parti del mondo, tra cronache, aneddoti e riflessioni che possono essere ricercate per argomenti, zone, luoghi o periodi di tempo.

Pur avendo una struttura nettamente meno accessibile di piattaforme come Facebook o Twitter, Cowbird promette di essere un proficuo punto di scambio di idee e punti di vista. Ho quindi deciso, non solo di entrare a farne parte (con le modalità ed i tempi che mi saranno possibili), ma di aggiungerlo come argomento più o meno fisso anche all'interno del blog.

I miei primi interventi ("Meraviglie dell'ingegneria ... genetica" & "Un trampolino sul mare dei ricordi ...") hanno come argomento la città di Trieste.

Stay Tuned

giovedì 15 marzo 2012

Realtà virtuale

Rileggendo alcune delle ultime descrizioni che ho scritto e confrontandole con quelle che ho trovato nei testi di altri, mi sono preso il tempo di analizzare cosa rendesse le mie migliori di alcune e peggiori di altre. Di certo vi è anche una grossa variabile soggettiva, ma ci sono alcune caratteristiche che, a mio avviso, rendono oggettivamente più fruibile e d'effetto una descrizione.

Molto spesso le buone descrizioni sono quelle che non scendono troppo nei particolari, evitando così di divenire tediose, ma che riescono in poche parole a permettere di inquadrare la situazione. Sinteticità quindi, oltre ad un buon uso di struttura e di termini per alleggerire e rendere scorrevole, senza impoverire il significato.

Ma cosa differenzia una descrizione efficace da una descrizione eccellente? Spesso si tratta semplicemente di qualche dettaglio. Non quindi eccedere con particolari che potrebbero appesantire, ma inserire nella descrizione generale uno o due dettagli che colpiscano l'attenzione e possano far interpretare al meglio la particolarità della scena.

Questi dettagli possono riferirsi a tutti e cinque i sensi, ed volte sono sufficienti pochi riferimenti ad odori o suoni per rivaleggiare con fiumi di parole incentrate su dettagli visivi.

Andando oltre alla questione tecnica di come renderli sulla carta, c'è quindi il problema di saper scegliere il dettaglio giusto, quello che meglio esprime l'idea che si vuole rendere. Come fare? Oggi ho avuto un paio d'ore di viaggio in auto per meditarci, e credo che una soluzione sia nel cambiare punto di vista, cercando di non osservarla dall'esterno ma di calarcisi il più possibile.

Descrivendo un quadro potrei parlare di un volo di gabbiani che si staglia contro le nubi, della terra scurita dalla pioggia e del sole alto e brillante; cercare di vivere la medesima scena mi permetterebbe di udire i richiami stridenti dei gabbiani, percepire l'odore della terra bagnata, e provare la sensazione pungente della pelle che si arrossa a causa del sole.

Un trucco banale forse, che in larga misura già stavo utilizzando inconsciamente, ma che voglio sperimentare in modo più razionale e sistematico, per valutare quanto possa realmente rendersi utile. Immagino che di principio rallenterà un po' i lavori, visto che ci vorrà un po' di metodo ed allenamento per avviare la realtà virtuale e scendere all'interno della narrazione; conto però che l'esercizio semplifichi il procedimento e, soprattutto, che i risultati ripaghino la fatica.

Stay Tuned

lunedì 12 marzo 2012

Manoel: "Serata sul Divano"

Dopo averlo tenuto sepolto in un cassetto per diverse settimane, riesumiamo il povero Manoel e facciamogli prendere un po' di aria per cacciare il fastidioso odore di naftalina che gli si è appiccicato addosso.

Questo secondo estratto del suo diario, datato 28 maggio 2007, è stato scritto circa un mese dopo il precedente (25 aprile 2007, che potete trovare qui), in una situazione sensibilmente differente dalla precedente. 

La tensione tra Manoel ed Isabeau è andata via via riducendosi, ed ha lasciato loro lo spazio necessario per poter iniziare a collaborare in modo proficuo, sia sul piano del lavoro di facciata, che su quello più delicato delle attività malavitose. Manoel, nel trovarsi a continuo contatto con la donna, ha iniziato gradualmente ad ammorbidire alcuni tra gli aspetti più rigidi del suo carattere, ed ha lasciato che la donna gli si avvicinasse a sufficienza da riuscire ad influenzare le sue emozioni.

Solo marginalmente conscio di questo cambiamento, l'uomo sta cercando di misurarlo secondo il proprio metodo freddo e razionale, senza però riuscire a far nulla più che avanzare ipotesi. Tutti i suoi buoni propositi, che pur mantiene perfettamente in assenza di lei, vengono puntualmente a cadere nel momento in cui tra loro si crea un minimo di intimità.

C'è da notare che, nel mese trascorso, la maschera creata da Manoel per svolgere il proprio lavoro di copertura alla Galleria, è divenuta sufficientemente definita da aver meritato il proprio nome ed una sorta di indipendenza dalla sua personalità. Si riferisce infatti a lei come all'Organizzatore di Mostre ed ormai si considera un semplice spettatore delle proprie azioni, mentre svolge quell'incarico.

Come ultima nota, una breve spiegazione riguardo i tre personaggi che vengono menzionati durante la narrazione. La Silvie di cui si parla, era una donna che Isabeau aveva presentato a Manoel durante una festa, e che lui aveva cominciato a frequentare per creare un'immagine di normalità intorno all'Organizzatore di Mostre; Moira è invece una ragazzina Rom a cui Iseabeau si è affezionata ed ha cominciato a fare da madre/sorella maggiore; l'uomo delle caramelle, infine, è un individuo appartenente alla malavita statunitense, presentatosi in città ed entrato a far parte dei possibili contatti (ed alleati) della famiglia Debussy.

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La pioggia non è certo mai stata una mia passione, non sono il tipo che s'incanta alla finestra ad osservare i temporali ed anzi, se si escludono i momenti che passo in barca, tendo ad evitare il cattivo tempo per quanto mi è possibile.

Eppure ieri sera sono uscito pur conscio che la pioggia non avrebbe tardato a cadere ed anzi il pensiero di trovarmi a camminare sotto di essa in qualche modo pareva dare un sapore più intenso alla passeggiata che avevo in mente di fare.

Di principio non avevo alcuna meta, sentivo unicamente il bisogno di rinfrescarmi dopo la giornata passata alla galleria ad osservare l'Organizzatore di Mostre intento nel suo lavoro e volevo ritagliarmi qualche tempo per riflettere sugli avvenimenti degli ultimi giorni per poter fare un nuovo punto della situazione. In fondo il mio lavoro non è altro che questo: raccolgo informazioni, le elaboro e tiro le somme per sapere come reagire all'evolversi degli eventi. Se anche trattiamo un diverso tipo di numeri, non mi discosto poi molto da un contabile ...

Quando però la pioggia ha cominciato ad aumentare d'intensità, forse per merito dello schiarirsi dei miei pensieri, sono stato colto dal desiderio di vedere Isabeau. Non che avessi un motivo preciso per farlo ma semplicemente trovavo l'idea di scambiare qualche parola con lei una buona alternativa alla polmonite che mi si prospettava visto il tempo da lupi.

Mentre percorrevo il tratto di strada che mi separava dal suo palazzo, ho riflettuto anche sul fatto che una maggior frequenza nel nostro vederci e discorrere avrebbe anche potuto evitare nuovi dubbi da parte sua ed evitare possibili problemi nel futuro. E, se non sono il tipo che si lega alla richiesta di fare rapporto ad un superiore, nulla mi impedisce di discorrere con lei per rassicurarla sulla mia presenza ed accertarmi che tutto vada per il verso giusto.

Ma forse queste non sono altro che scuse artificiose che ho costruito a posteriori, per mascherare in qualche modo una ben più naturale pulsione al cercar di vedere la piccola Isa. Un dubbio che non avrà forse mai risposta ...

Una signora stava uscendo e m'ha evitato di dover suonare, una donnina che m'ha rivolto un sorriso alquanto cortese quando ho fatto il gesto di reggerle la porta per agevolarle l'uscita, ma che m'ha squadrato con l'aria indagatoria di un colonnello delle S.S. alle prese con una spia. Con il gesto del reggerle la porta l'avevo colta sufficientemente in contropiede per evitare domande in merito alla mia identità, ma non abbastanza da sviar completamente la sua attenzione di madre di famiglia da un estraneo che entrava nel palazzo. Fortunatamente per entrambi non avevo alcun lavoro da svolgere nel palazzo o avrei dovuto tutelarmi da quella sua curiosità ... in modo definitivo.

C'era stupore nella voce di Isa quando ho battuto un paio di colpi alla sua porta e per un'istante mi sono chiesto se arrivare di sorpresa a casa sua non fosse stata una pessima idea, poteva aver qualche impegno, poteva aver ospiti o semplicemente non aver intenzione d'avere nessuno in mezzo ai piedi. Dubbi che, mi fossero venuti prima, mi avrebbero di certo trattenuto dall'andare a trovarla.

Fortunatamente, l'iniziale stupore di lei era dovuto unicamente al fatto che non si aspettava alcuna visita, e non nascondeva alcun genere di disappunto per la presenza di qualcuno alla sua porta. Anzi, quando l'ha dischiusa per farmi accomodare ho trovato sulle sue labbra un sorriso abbastanza lieto che ha avuto il potere di eliminare ogni mio residuo timore.

Era realmente piccola Isabeau, priva dei tacchi che in genere la fanno svettare sopra di me ed ora scalza, vestita d'una semplice tuta e, benché perfettamente truccata, aveva l'aria di chi sia agli antipodi dell'idea di far qualsiasi cosa non sia riposarsi ed aggirarsi pigramente per casa.

La situazione mi ha riportato alla mente altre occasioni in cui, ormai quasi una ventina d'anni fa, io e la piccola Isa ci siamo ritrovati in condizioni simili con lei che mi accoglieva nel salotto di casa dello Zio Luis e che zampettava in giro libera da ogni pensiero e da ogni turbamento. E credo che questo ritorno al passato mi abbia permesso d'esser molto più rilassato e tranquillo di quanto avrei potuto.

Dopo essermi liberato del cappotto sgocciolante e di un paio di scarpe che si erano ormai ridotte ad una schifezza, ho raggiunto Isabeau che s'era spostata per accomodarsi sul divano, usando i medesimi passi scalzi di lei e lasciandomi andare alla sensazione di tranquillità che percepivo tutto intorno a me, ed a cui non avevo intenzione ne possibilità alcuna di ribellarmi.

Quando mi son trovato accanto al divano, sul quale lei si era accomodata richiamando le gambe a se in una posa ancor più rilassata, ho rivisto dinnanzi a me quel grande divano a dondolo che si trovava sul patio della villa di Arles e che noi usavamo contenderci e sul quale in più di un'occasione avevamo passato ore a farci i più disparati dispetti.

" ... dove preferisco? ... "

Quella domanda ha preso forma sulle mie labbra senza che potessi far nulla per arrestarne il nascere e, nel momento in cui ho realizzato d'aver usato quello che per anni era stato una sorta di segnale d'inizio per le nostre scaramucce, mi son trovato a chiedermi come avrebbe reagito Isabeau. Il sorriso con cui mi ha risposto mi ha fatto comprendere che non le era sfuggito il mio riferimento alla nostra giovinezza, ed ho quindi deciso di proseguire con quel piccolo gioco di rievocazione accomodandomi accanto a lei e lasciandomi poi cadere fianco sul fianco, in una posa scomposta con la testa che le si poggiava ad una spalla.

Non credo che Isabeau si aspettasse veramente una simile reazione da parte mia, ma ho avuto l'impressione che fosse rimasta favorevolmente sorpresa e che il mio modo di fare l'avesse in qualche modo divertita quanto io stesso m'ero divertito nel farlo.

Durante il rapido cambiar di canali andando alla ricerca di qualche cosa di utile e gradevole da poter vedere abbiamo discusso di qualche dettaglio serio, passando da Silvie (Isa in qualche modo era preoccupata che io avessi a soffrire dalla sua morte), al desiderio di lei di ottenere la custodia di Moira ed infine all'uomo delle caramelle sul quale le ho fatto un piccolo resoconto.

Le cose serie sono poi finite, il lavoro archiviato da una sigaretta che lei ha fumato in piedi accanto alla cucina prima di tornare ad accomodarsi sul divano accanto a me. Non rimaneva altro da fare che dare un termine alla giornata rilassandoci e parlando d'altro, di qualsiasi altra cosa purchè non si trattasse di lavoro.

" ... dove preferisco? ..."

Questa volta è stata lei a chiedermelo mentre si impossessava nuovamente del telecomando, e sono stato io a confermarle che aveva libertà di scegliere qualsiasi posto avesse ritenuto di suo gradimento. Questa volta è stata lei a scegliere, e sono stato io a rimanere sorpreso!

Si è sdraiata lungo il divano raccogliendo le gambe per accomodarsi in modo più placido ed ha mosso il volto per usare le mie cosce a mò di cuscino, in un gesto che mi ha lasciato senza parole e senza alcuna difesa dalla sensazione di calore che ho percepito diffondersi in me. Ho mosso una mano senza quasi rendermene conto e l'ho poggiata sulla spalla di lei, completando un antico rituale che faceva parte della nostra fanciullezza e nel quale assumevamo quella posa in una comune ricerca di sicurezza e di comodità.

Discutere d'un film che io avevo veduto e lei no, rimanere semi sdraiati su quel divano mentre le scene si alternavano sullo schermo, fremere entrambi nei momenti di tensione e sorridere alle battute più spiritose. Un mondo fatto di una semplice quotidianità che pensavo ormai troppo lontana da me perché potessi nuovamente raggiungerla e farne parte. Un film di cui credo potrei riscrivere il copione a memoria e che aveva il potere di coinvolgermi ed emozionarmi come mai prima era accaduto ...

Alaska, Zio Luis non aveva sbagliato di molto ...


Manoel de Arriaga

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Alla prossima puntata che, salvo errori e omissioni, sarà uno dei miei post preferiti del diario di Manoel.

Stay Tuned

domenica 11 marzo 2012

La domenica del paese.

Comincio a sospettare che la cittadinanza mi nasconda qualche cosa!

Il paese è piccolo, la stagione non è ancora cominciata, e i pochi locali che sono aperti durante tutto l'arco dell'anno non hanno pressoché nessuna attrattiva. Non mi risulta che ci siano feste, convegni, raduni, sagre o simili nel circondario. Nulla che possa dare attrattiva a questa domenica mattina.

La casa sta su un incrocio, da una parte c'è l'unica via di passaggio per entrare ed uscire da questa zona del paese, dall'altra un vicolo cieco.

Io dico, com'è mai possibile che nell'ultima ora siano passate una mezza dozzina di graziose (e sconosciute) fanciulle vestite a festa, con tacchi alti e minigonna? A piedi poi, e dirette verso il vicolo cieco!

O qualcuno dei miei vicini, approfittando della mia influenza, sta festeggiando alla grande, o le turiste che arrivano da queste parti fuori stagione, si convincono di essere dei lemmings ... seccante.

Stay Tuned

venerdì 9 marzo 2012

Il (dis)piacere di tea (senza zucchero) e biscotti (vegani).

La cosa che preferisco del tea è senza alcun dubbio l'aroma; quella nuvoletta di vapori che si addensa sopra la tazza e che, a seconda della miscela scelta, può portare con se l'odore familiare di frutta ed agrumi, o suggerire bouquet più misteriosi.

Il sapore no. L'evoluzione del mio gusto ha avuto una tragica battuta d'arresto quando ero bambino; basti pensare che guardo gli alcolici con sospetto, ed a tutt'oggi non ho mai trovato alcun superalcolico che mi piaccia bere. Per supplire a questo inconveniente ho sempre zuccherato molto il mio tea (destando sospetto ed orrore nei puristi).

Seguendo il processo di riduzione delle schifezze ingerite normalmente (che qualche profano chiama dieta) ho dovuto mio malgrado rinunciare all'abituale quantità di zucchero, quindi in una tazza di tea l'ho limitato ad un solo cucchiaino. 

Qualche giorno fa, mentre mi aggiravo tra gli scaffali di uno Schlecker in cerca di tutt'altro, il mio sguardo ha incrociato una confezione di frollini da prima colazione, e poiché li avevo praticamente finiti il giorno precedente, ho pensato di cogliere l'occasione e comperarli, evitandomi un viaggio ulteriore al supermercato.

Arrivato alla colazione successiva, sentendomi un eroe per aver preferito il tea al latte ed essere anche riuscito a costringermi ad usare una dose omeopatica di zucchero, ho sorriso con aria complice ai miei quattro frollini sicuro che loro mi avrebbero dato la soddisfazione necessaria a sopportare le altre rinunce.

Con fierezza ho prelevato il primo di loro dal piattino e con giubilo gli ho dato un morso. Non mi sono mai cacciato in bocca una manciata di segatura, ma credo che dia più o meno la medesima sensazione. Con l'espressione soddisfatta di un bambino che, aspettandosi una cucchiaiata di nutella, si trovi invece la bocca piena di olio di fegato di merluzzo, ho finito quel biscotto e, subito di seguito, ho espresso con sofisticata ricercatezza il mio parere in merito.

"Che merda!"

Parole storiche che, per fortuna o purtroppo, nessuno ha potuto udire visto che ero solo soletto in cucina.

Finire la colazione è stata un'impresa epica, un vero esempio di eroica abnegazione. Una generosa boccalata d'acqua, tanto per ripulirmi la bocca dal saporaccio, e via verso una nuova giornata a base di verdura!

Il giorno successivo, dopo aver saltato la colazione per evitarmi un nuovo suplizio, mi aggiravo in cucina per preparare il pranzo e, grazie ad uno sguardo d'odio diretto al sacco dei biscotti, ho notato un marchio sospetto che fino a quel momento era sfuggito al mio occhio di falco: 

Vegan

Con tanto di "V" formata da foglia e stelo di un bel girasole dalla faccia soddisfatta. Subito sopra al marchio, due scritte rosse, carattere duecento, grassetto e maiuscolo:

SENZA LATTE
SENZA UOVA

Questo spiegava il mistero di come potessero essere così cattivi, ed apriva le porte di una nuova questione: come diavolo avevo fatto a non accorgermi di quelle scritte, per altro ripetute su tre dei quattro lati della confezione? Dopo un'attenta analisi di tutti i fattori di quello strano caso, e dopo aver attentamente valutato ogni possibile eventualità, sono giunto all'unica conclusione logica: marchio e scritte sono state realizzate con una speciale pigmentazione, originariamente mimetica, che solo i vapori caldi delle pentole in cucina hanno reso visibili. Ho inviato un campione a quantico, sono in attesa di conferme.

A giorni di distanza da questi misteriosi eventi, mentre mi immedesimo in Dana Scully e redigo il mio rapporto, quello che più mi stupisce è che, una volta scoperta la causa dell'alieno sapore dei frollini, nell'affrontarli nuovamente non li ho trovati abominevoli come durante il primo esperimento. Certo, un biscotto da tea al burro, di pura tradizione inglese, li seppellisce nel ridicolo, ma è pur vero che i tapini fan del loro meglio per essere gradevoli. In fondo, non sono loro ad essere malvagi, è stato qualcun altro a disegnarli così.

Stay Tuned

Che sia colpa del muco?

In questi ultimi giorni ho fatto molta fatica a scrivere.

Mi è stato difficile trovare la concentrazione necessaria, le frasi hanno cominciato a farsi frammentarie ed a richiedere numerose revisioni, prima di divenire sufficientemente chiare e comprensibili.
Rispetto alla rapidità (ed alla naturalezza) a cui mi ero abituato nel periodo precedente, è stato un netto ed assai sgradevole passo indietro.

Come unica consolazione, mi auguro che tutto questo sia dipeso dall'influenza. In fondo è credibile che, mentre si dilapidano energie nel vano tentativo di respirare, sia più difficile concentrarsi su altro.

Stay Tuned

mercoledì 7 marzo 2012

L'agio della tradizione od il fascino dell'ignoto?

Da bambino mi godevo il fascino degli inaspettati colpi di scena che trovavo in film e libri, da ragazzino mi sentivo astuto e geniale nel poterne anticipare la maggior parte; crescendo ho scoperto (con mio sommo disappunto) che l'ovvietà dell'inatteso è una scelta deliberata, operata appositamente per appagare l'ego dell'utente.

A quanto pare, oltre al piacere di sentirsi più furbi degli autori, gli utenti televisivi hanno largamente dimostrato di essere molto refrattari ai cambiamenti; non per nulla, come spietatamente illustrato nella puntata della prima serie di Futurama 1ACV12 (Attacco Alieno), l'utente medio delle serie televisive pretende che gli eventi della singola puntata abbiano poca o nessuna influenza sulla situazione generale della serie stessa.

Con un principio assai simile, credo che esistano anche lettori a cui piace di ritrovare, in quel che leggono, atmosfere già note e che riescono quindi a dar loro la confortante sensazione di sentirsi a casa. In particolare mi riferisco a ciò che viene scritto in generi letterari specifici, come il Fantastico, la Fantascienza ed in misura minore nell'Horror e nel Giallo.

Alcuni esempi?

Parlando di Horror, qual'è la pessima idea che ci si aspetta da ogni gruppo che si trovi ad aver a che fare con un mostro/maniaco omicida? Dividersi, ovviamente. Cosa succede a chi si allontana dal gruppo? La sua morte è pressochè certa. Ci sono inoltre alcuni personaggi abbastanza tipici: l'eroe tormentato, il vigliacco disposto ad ogni bassezza pur di sopravvivere (che in genere fa la fine più atroce), la bellona che grida e viene salvata, l'intellettuale che cerca di razionalizzare e magari di cercare di ragionare con il persecutore.

Nei Gialli, come James Bond insegna, le belle donne hanno molto spesso gli stessi due scopi: sedurre l'eroe con lo scopo di farlo fallire e/o farlo cadere in trappola, o affidarsi a lui per poter poi tragicamente morire per mano di uno degli sgherri del cattivo di turno.

La Fantascienza ci propone alcune inossidabili categorie di razze aliene, o creature similari. Ci sono i bruti, animati da una fortissima passione per la guerra, e spesso guidati da un qualche complesso ed inintellegibile codice d'onore; gli spirituali, che hanno ormai trasceso le umane debolezze, e vivono esistenze all'insegna dell'ascesi; gli infidi, che incapaci di rivaleggiare con i bruti per quel che riguarda le capacità belliche, operano tra complotti e tradimenti; gli innocenti, che da tempo immemore hanno abbandonato ogni aggressività e si dedicano ad una vita di pace e fratellanza.

Gli esempi di cui sopra, sono evidentemente degli esempi portati all'eccesso, per poter divenire delle provocazioni; ma sono sicuro che il senso sia chiaro e che a tutti voi siano venuti in mente decine di esempi (sia cinematografici che letterari) che possono esser fatti rientrare in quelle casistiche.

Arriviamo ora al punto dolente: il Fantastico!
Pur essendo senza alcun dubbio il mio genere preferito, è anche quello da cui più raramente mi trovo ad essere soddisfatto; forse la mia predilezione mi rende particolarmente esigente, ma è anche un fatto che il Fantastico sia un genere dove le poche opere di valore vengono sepolte sotto il cumulo dei prodotti di second'ordine.

Anche senza voler cadere nella bassezza di saghe come Twilight, e senza scomodare autori che hanno per lo meno un corretto stile di scrittura come Parker, non credo esistano generi soggetti allo stereotipo quanto il Fantasy. Lo scribacchino Fantastico, non si limita a far man bassa tra gli archetipi razziali come farebbe un suo pari nella Fantascienza, usa addirittura i medesimi nomi; in questo modo evita di dover perder tempo ed affaticare i propri neuroni con un sacco di descrizioni inutili. Perché dover spendere un mare di parole per parlare di orecchie affilate, fisici snelli e lunghi capelli sciolti quando mi basta scrivere "elfo"? Perché complicarsi la vita a parlare di carattere burbero, amore per metalli preziosi e gioielli ed indole vendicativa quando è sufficiente dire "nano"? Perché fare la fatica di creare un popolo credibile a cui far fare la parte del nemico, dandogli motivazioni, caratteristiche peculiari ed una struttura sociale sensata quando è  tanto facile scrivere "orco"? 

Certo, c'è anche qualche mente geniale che invece che Nazgul dice Ra'zac ed al posto di Uruk-Hai scrive Urgali. Dovremmo apprezzare lo sforzo di cambiare almeno i nomi, o sentirci presi in giro perché hanno cercato di rivenderci come nuovo, un piatto avanzato del giorno prima e malamente riscaldato?

Con questo non voglio certo dire che il rifarsi alla nomenclatura classica identifichi automaticamente uno scrittore scadente, anzi. C'è chi, come Andrzej Sapkowski, ha saputo reinventare completamente le caratteristiche della propria ambientazione, dandole delle caratterizzazioni estremamente forti ed originali, pur parlando di elfi e di nani.

Quello che mi chiedo, ogni qual volta mi trovo a riflettere sulle caratteristiche di un'ambientazione, è quello che il lettore si aspetti dal Fantastico: cerca la sicurezza di un mondo in cui il bene ed il male sono nettamente divisi tra rappresentanti di razze differenti, o spera di incontrare qualche cosa di nuovo e di diverso, che lo porti al di fuori dei soliti schemi?

Quali sono le vostre opinioni in merito? E, se siete appassionati di Fantasy, cosa vi piace trovare nei libri che leggete? La vostra preferenza va a chi scrive entro i canoni del cosiddetto Fantasy Classico, o siete alla costante ricerca di qualche cosa di diverso ed innovativo?

Stay Tuned

lunedì 5 marzo 2012

Punto di svolta

Il terzo capito, tra alti e bassi, sta scorrendo molto più liscio dei precedenti.
Evidentemente, l'accumularsi di ore di lavoro, mi ha permesso di guadagnare maggiore dimestichezza, e di ritrovare l'abitudine a scrivere che da qualche anno era andata persa. Riesco a visualizzare più facilmente la costruzione dei periodi, e con un po' di pazienza sto anche rimediando ad una parte dei miei orrori grammaticali congeniti.

Ora che mi trovo a qualche passo solamente dall'introdurre uno degli eventi principali della storia, non riesco a fare a meno di essere emozionato; una scena che ho immaginato e visualizzato decine di volte, che ho abbozzato in uno schema ed esteso nella struttura dei capitoli, sta per prendere la sua forma (quasi) definitiva. Un po' come una donna che, dopo aver portato in grembo il proprio pargoletto, si renda conto dell'imminenza del parto; senza le doglie però, il che non è certo cosa da poco.

Come piccola anteprima per i miei valorosissimi (e mai sufficientemente ringraziati) revisori, dirò che l'evento prevederà la presenza di Ureach, Ruhek, Kahejt, Lyuthwjn e di un'altra mezza dozzina di facce più o meno note. Sarà un passo determinante per la vita e l'evoluzione del protagonista, ed un avvenimento di grande importanza per il futuro dei suoi compagni.

Proprio per questo, mi trovo combattuto tra l'eccitazione dell'affrontarlo ed una sgradevole punta di ansia da prestazione. Per mia fortuna, ogni qual volta vengo colto dal dubbio, mi è sufficiente ripetere il Mantra di Paolini e tutto si cheta:
Se è diventato famoso lui con il pattume che ha scritto: comunque vada, sarà un successo!
 Stay Tuned

domenica 4 marzo 2012

Blogspot o Wordpress?

Rapidissima domanda notturna: preferite Blogspot o Wordpress?
Ed in particolar modo, preferite seguire questo blog nella sua versione Blogspot od in quella Wordpress?

Stay Tuned.